Vulcano in New York - Testo critico

Con l’occasione della rassegna 41° Parallelo, l’ormai consolidato evento organizzato dal Napoli Film Festival nella città di New York, Lello Esposito si racconta ancora una volta attraverso una delle icone che da sempre caratterizzano la sua produzione artistica: il vulcano. Nato e vissuto alle sue pendici, egli si confronta quotidianamente con la sua mole, guardiana originario di storia e di umanità, entità gravida di memorie e custode dell’identità primigenia. Tale rappresentazione, che nasce dunque con l’artista e costantemente popola la sua vivace sfera creativa, colpisce subito per la carica espressiva, per il segno incisivo, potente, per il gesto spontaneo e chiaro. L’intero percorso del progetto espositivo, si gioca sulle coordinate della materia e del segno, proponendosi come narrazione volontaria di un’evoluzione mentale e fisica, di un percorso anche spirituale, che parte dalle viscere della città e giunge alla rigenerazione della metafora e dell’essere umano. Dalle esperienze formali del passato, che propongono una descrittiva, aneddotica figurazione del vulcano, sia in pittura che in scultura, carica di rimandi e tagli spiccatamente espressionistici, Lello Esposito si spinge adesso alla sintesi delle forme, alla stigmatizzazione del simbolo, interpretando saggiamente l’essenza del tema. Assistiamo così alla rinascita di un’icona. Un cono nero e una fiammata di colore intenso: questo è il suo vulcano oggi, preso dall’urgenza di esistere trabocca dalla materia vischiosa che lo ha creato, il colore. Questo magma cromatico è forma e anima, è madre-materia: ebollizione, affioramento, sanguinamento, eruzione appunto. L’artista partenopeo è autore di un procedimento catartico, che si ispira alle alchimie metallurgiche e che culmina nei rigurgiti di materia, nell’eiaculazione di colore, nel getto di colore sulla cima del vulcano come segno di resurrezione, di trasfigurazione del simbolo e della natura. Il vulcano di Lello Esposito è divenuto una veduta stenografica, suggerita da colori estremi, nella quale l’esistenza è come sospesa: ciò che resta è un attimo di densità, di energia. Su tutto domina il piacere per le accensioni cromatiche, per la pittura che deflagra in un vortice di gestualità. Scosse di colore si dilatano, si contraggono e sgorgano nello spazio; abbaglianti rossi, blu, gialli, squillanti, luminescenti, si infondono dovunque, come un universo di segni autonomi, avanzi composti di sostanze fluide. E davanti a queste esigenze gestuali e cromatiche totalizzanti, il problema dell’apparenza figurativa si fa secondario. Materia e colore infatti sono, da sempre, per Lello Esposito qualcosa che lega la fisicità della forma alla più indefinibile realtà dell’operazione artistica, quella del dipingere, del mescolare e stendere colori, quella che dà vita a forze cromatiche, ritmi ed effetti di luce. Tutto ciò è per l’artista un quotidiano sogno febbrile, la liberazione del gesto: un lavoro che gli consente di essere se stesso, di proiettare sull’opera il suo carattere più schietto, senza tener conto dei moduli passati e recenti, ma lasciandosi guidare dalla sua istintiva e selvaggia disposizione d’animo. La fremente stesura vischiosa è qui segno e cifra, nodo strutturale e campo d’indagine, ars combinatoria tra incoscienza e rivelazione, e forse riesce a convincerci del fatto che la pittura può, a volte, superare la parola come mezzo d’espressione in una delle imprese più grandi dell’immaginazione umana.

Manuela Annibali
03 Ottobre 2006